martedì 16 dicembre 2008
mercoledì 10 dicembre 2008
CINEFORUM VIAGGIO IN EUROPA
di FERNANDO LEON DE ARANOA,2002.
(quarta proiezione del 09/12/2008)
Si può affermare che questo film, vincitore di numerosi premi, è davvero fantastico....anche se forse non andrebbe visto da giovani laureandi pieni di speranze, perchè da una visione fin troppo realistica che lascia davvero l'amaro in bocca........
Questo film "poetico, duro, graffiante e commovente" è una di quelle pellicole che sin dalle immagini dei titoli di testa ti conquistano procurandoti una sensazione di vivida consapevolezza e di saggia solidità.
I lunedì al sole sono quelli di un gruppo di disoccupati, ex operai dei cantieri navali di una cittadina del Nord della Spagna, trascorsi in un bar o seduti su degli scogli a tormentarsi sul perché non sono più in una fabbrica a lavorare. Ma la disoccupazione comporta anche una diversa concezione del tempo. Questo, come una lenta ma inesorabile marea, si dilata e si comprime permettendo lunghe discussioni filosofiche sul concetto di antipodi, sul valore intrinseco del denaro, perfino su Dio se hai bevuto un bicchiere in più ed il barista non ti caccia dal locale. Fernando Leon De Aranoa, - appuntatevi questo nome - anche coautore della sceneggiatura, ama riprendere i suoi personaggi con un tocco morbido dal quale si coglie l'affetto che nutre per essi. Il valore del film sta in queste sequenze sempre appassionate ma soprattutto nella forza dei dialoghi che non ti lasciano mai indifferente ma aggiungono sempre qualcosa di nuovo al ragionamento che si vuol costruire. Dialoghi dove viene naturale dedurre il dolore e la dignità di questi uomini, dove ognuno, mediante un processo originale, metabolizza la tragedia elaborando personali scudi di protezione per non impazzire. Chi si trincera dietro l'orgoglio, chi si protegge con una rabbia soffocata, chi non perde mai la speranza anche davanti ad una ineluttabile realtà, chi - un emigrato russo, ingegnere spaziale - con sagace ironia racconta storielle da terzo millennio del tipo: "Tutto quello che ci hanno raccontato del comunismo era una terribile bugia, invece, dopo la caduta del muro, abbiamo scoperto che quello che ci hanno raccontato del capitalismo era tutto vero...".
Si intuisce che un film del genere sconta qualche lentezza di troppo ma sono momenti, anche quelli più intimisti, dei quali è un piacere godere del calmo incedere che ne caratterizza il fluire: è più facile, così, cogliere le sfumature di una parola o l'ombra di uno sguardo.
Un film per saperne qualcosa di più, un film per imparare che da una macchia di umido sul soffitto si può anche sognare l'Australia...
(quarta proiezione del 09/12/2008)
Si può affermare che questo film, vincitore di numerosi premi, è davvero fantastico....anche se forse non andrebbe visto da giovani laureandi pieni di speranze, perchè da una visione fin troppo realistica che lascia davvero l'amaro in bocca........
Questo film "poetico, duro, graffiante e commovente" è una di quelle pellicole che sin dalle immagini dei titoli di testa ti conquistano procurandoti una sensazione di vivida consapevolezza e di saggia solidità.
I lunedì al sole sono quelli di un gruppo di disoccupati, ex operai dei cantieri navali di una cittadina del Nord della Spagna, trascorsi in un bar o seduti su degli scogli a tormentarsi sul perché non sono più in una fabbrica a lavorare. Ma la disoccupazione comporta anche una diversa concezione del tempo. Questo, come una lenta ma inesorabile marea, si dilata e si comprime permettendo lunghe discussioni filosofiche sul concetto di antipodi, sul valore intrinseco del denaro, perfino su Dio se hai bevuto un bicchiere in più ed il barista non ti caccia dal locale. Fernando Leon De Aranoa, - appuntatevi questo nome - anche coautore della sceneggiatura, ama riprendere i suoi personaggi con un tocco morbido dal quale si coglie l'affetto che nutre per essi. Il valore del film sta in queste sequenze sempre appassionate ma soprattutto nella forza dei dialoghi che non ti lasciano mai indifferente ma aggiungono sempre qualcosa di nuovo al ragionamento che si vuol costruire. Dialoghi dove viene naturale dedurre il dolore e la dignità di questi uomini, dove ognuno, mediante un processo originale, metabolizza la tragedia elaborando personali scudi di protezione per non impazzire. Chi si trincera dietro l'orgoglio, chi si protegge con una rabbia soffocata, chi non perde mai la speranza anche davanti ad una ineluttabile realtà, chi - un emigrato russo, ingegnere spaziale - con sagace ironia racconta storielle da terzo millennio del tipo: "Tutto quello che ci hanno raccontato del comunismo era una terribile bugia, invece, dopo la caduta del muro, abbiamo scoperto che quello che ci hanno raccontato del capitalismo era tutto vero...".
Si intuisce che un film del genere sconta qualche lentezza di troppo ma sono momenti, anche quelli più intimisti, dei quali è un piacere godere del calmo incedere che ne caratterizza il fluire: è più facile, così, cogliere le sfumature di una parola o l'ombra di uno sguardo.
Un film per saperne qualcosa di più, un film per imparare che da una macchia di umido sul soffitto si può anche sognare l'Australia...
martedì 9 dicembre 2008
lunedì 1 dicembre 2008
CINEFORUM VIAGGIO IN EUROPA
COME L'OMBRA
di MARINA SPADA,2006.
(seconda proiezione del 25/11/2008)
Nonostante la pioggia incessante e la esigua partecipazione il secondo film è stato proiettato; anzi colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno sfidato la tempesta per trascorrere qualche ora insieme a noi.
Questo film è piuttosto triste.....
Ambientato in una Milano resa silenziosa dalle ferie d’agosto il film scruta l’esistenza di Claudia, trentenne single, un buon lavoro e appartamentino confortevole nei pressi del centro. Claudia si lascia scorrere addosso la vita tra piccoli riti: le lezioni serali di russo, la spesa, il film d’autore, il libro best seller, la visita alla mamma, il fine settimana con gli amici, gli amplessi senza trasporto emotivo, il bucato messo ad asciugare.
Ad incrinare questa ripetività arriva un nuovo insegnante di russo, Boris, intrigante e affascinante, che, finito il corso scompare nel nulla. Ricompare per chiedere un favore a Claudia: ospitare Olga, che lui presenta come cugina. Olga, in principio mal accettata, riesce a creare un’empatica sintonia, una complicità che a Claudia mancava, che sfocia in amicizia. Quando anche Olga scompare misteriosamente, Claudia reagisce come se le fosse tolta una parte di sé, quella parte irrazionale e misteriosa che non aveva mai ascoltato.
E scaverà nella Milano desertificata per cercare tracce di Boris e di Olga…
La regia di Marina Spada è asciutta, lascia spazio a lunghi silenzi, alla lentezza, in un certo senso voyeuristica perchè la cinepresa non è mai una presenza ingombrante ma in disparte, si limita a registrare il susseguirsi delle vicende, senza interferire nella scena.
Marina Spada mostra di sapere bene che il cinema è un luogo mentale, che si forma via via nella testa dello spettatore. Su un soggetto essenziale, Spada realizza un film scarnificato eppure coinvolgente, perfino commovente. La scelta di privilegiare le pause, i vuoti rispetto ai pieni, ricorda il cinema di Antonioni, così come la ricorrenza delle "soglie" e la Milano deserta, fantasmatica in cui Claudia si aggira. Ogni inquadratura è meditata e consapevole, con un uso ricercato della profondità di campo.
di MARINA SPADA,2006.
(seconda proiezione del 25/11/2008)
Nonostante la pioggia incessante e la esigua partecipazione il secondo film è stato proiettato; anzi colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno sfidato la tempesta per trascorrere qualche ora insieme a noi.
Questo film è piuttosto triste.....
Ambientato in una Milano resa silenziosa dalle ferie d’agosto il film scruta l’esistenza di Claudia, trentenne single, un buon lavoro e appartamentino confortevole nei pressi del centro. Claudia si lascia scorrere addosso la vita tra piccoli riti: le lezioni serali di russo, la spesa, il film d’autore, il libro best seller, la visita alla mamma, il fine settimana con gli amici, gli amplessi senza trasporto emotivo, il bucato messo ad asciugare.
Ad incrinare questa ripetività arriva un nuovo insegnante di russo, Boris, intrigante e affascinante, che, finito il corso scompare nel nulla. Ricompare per chiedere un favore a Claudia: ospitare Olga, che lui presenta come cugina. Olga, in principio mal accettata, riesce a creare un’empatica sintonia, una complicità che a Claudia mancava, che sfocia in amicizia. Quando anche Olga scompare misteriosamente, Claudia reagisce come se le fosse tolta una parte di sé, quella parte irrazionale e misteriosa che non aveva mai ascoltato.
E scaverà nella Milano desertificata per cercare tracce di Boris e di Olga…
La regia di Marina Spada è asciutta, lascia spazio a lunghi silenzi, alla lentezza, in un certo senso voyeuristica perchè la cinepresa non è mai una presenza ingombrante ma in disparte, si limita a registrare il susseguirsi delle vicende, senza interferire nella scena.
Marina Spada mostra di sapere bene che il cinema è un luogo mentale, che si forma via via nella testa dello spettatore. Su un soggetto essenziale, Spada realizza un film scarnificato eppure coinvolgente, perfino commovente. La scelta di privilegiare le pause, i vuoti rispetto ai pieni, ricorda il cinema di Antonioni, così come la ricorrenza delle "soglie" e la Milano deserta, fantasmatica in cui Claudia si aggira. Ogni inquadratura è meditata e consapevole, con un uso ricercato della profondità di campo.
giovedì 20 novembre 2008
CINEFORUM VIAGGIO IN EUROPA
LISBON STORY
di WIM WENDERS
(prima proiezione del 18/11/2008)
Noi della VOX EUROPAE vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla proiezione del primo film in programmazione.
L'evento è stato un successo, la sala era colma e c'è stata una larga partecipazione con diversi commenti dopo la proiezione.
Indubbiamente il primo film scelto lasciava ampio spazio all'introspezione.Wenders adora e rispetta le sue città. Le vive tanto intensamente da farle sue, immagazzinandone gli umori, trattenendone i respiri, i fruscii, vi si immerge completamente. È forse questo suo essere continuamente "straniero in terra straniera" che gli fa avere questa attenzione, quasi devozione per ciò che non gli appartiene ma a cui vorrebbe appartenere. Tra suoni immagini colori sguardi e commozioni Wenders comunica "totalmente" il suo cinema, fatto di tutti i sensi possibili, mixati in un concentrato di riflessione, teoria, emozione, passione, deliberata dichiarazione d'amore, per il cinema, per la vita. Inoltre nella prima e nell'ultima scena appare la scritta"CIAO FEDERICO" sul muro, come tributo al grande Federico Fellini (morto nel 1993).
Philip, professione fonico, arriva a Lisbona, chiamato dall'amico regista Friedrich che sta girando un documentario muto e in bianconero. Trova solo una casa vuota e le pizze del materiale girato. A spasso per Lisbona, in cerca di suoni e di notizie dell'amico, l'alter ego-wendersiano porta lo spettatore a catturare la realtà viva della città portoghese: voci umane nella concitazione del mercato, il rumore del traffico e così via.
"LISBON STORY" è soprattutto un film sul cinema, sul rapporto tra immagine e suono, tra pellicola e video, tra verità e menzogna, sull'opposizione, che da sempre ossessiona Wenders, tra cinema americano e cinema europeo, tra un cinema delle storie e un cinema dello sguardo: il dominio delle storie soffoca il racconto delle cose, ma senza storie lo sguardo s'inaridisce...Si può, nonostante le immagini che ci inondano ogni giorno da parte di giornali, riviste e TV, ancora fare del cinema senza inserirsi nella superficialità della cultura odierna delle mass-media? Wenders risponde con un convinto sì e con questo film ci da anche un bell' esempio. Il film è una specie di dichiarazione d'amore ai 100 anni di cinema, è pieno di citazioni, usa in parte tecniche e macchinari degli anni Venti e non rinuncia neanche a delle invenzioni comiche che ricordano i film muti dei primi anni di questo secolo. Il film è un piacere per gli occhi e per le orecchie e in alcune scene Wenders si è anche ricordato del fatto che il cinema può far ridere...
di WIM WENDERS
(prima proiezione del 18/11/2008)
Noi della VOX EUROPAE vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla proiezione del primo film in programmazione.
L'evento è stato un successo, la sala era colma e c'è stata una larga partecipazione con diversi commenti dopo la proiezione.
Indubbiamente il primo film scelto lasciava ampio spazio all'introspezione.Wenders adora e rispetta le sue città. Le vive tanto intensamente da farle sue, immagazzinandone gli umori, trattenendone i respiri, i fruscii, vi si immerge completamente. È forse questo suo essere continuamente "straniero in terra straniera" che gli fa avere questa attenzione, quasi devozione per ciò che non gli appartiene ma a cui vorrebbe appartenere. Tra suoni immagini colori sguardi e commozioni Wenders comunica "totalmente" il suo cinema, fatto di tutti i sensi possibili, mixati in un concentrato di riflessione, teoria, emozione, passione, deliberata dichiarazione d'amore, per il cinema, per la vita. Inoltre nella prima e nell'ultima scena appare la scritta"CIAO FEDERICO" sul muro, come tributo al grande Federico Fellini (morto nel 1993).
Philip, professione fonico, arriva a Lisbona, chiamato dall'amico regista Friedrich che sta girando un documentario muto e in bianconero. Trova solo una casa vuota e le pizze del materiale girato. A spasso per Lisbona, in cerca di suoni e di notizie dell'amico, l'alter ego-wendersiano porta lo spettatore a catturare la realtà viva della città portoghese: voci umane nella concitazione del mercato, il rumore del traffico e così via.
"LISBON STORY" è soprattutto un film sul cinema, sul rapporto tra immagine e suono, tra pellicola e video, tra verità e menzogna, sull'opposizione, che da sempre ossessiona Wenders, tra cinema americano e cinema europeo, tra un cinema delle storie e un cinema dello sguardo: il dominio delle storie soffoca il racconto delle cose, ma senza storie lo sguardo s'inaridisce...Si può, nonostante le immagini che ci inondano ogni giorno da parte di giornali, riviste e TV, ancora fare del cinema senza inserirsi nella superficialità della cultura odierna delle mass-media? Wenders risponde con un convinto sì e con questo film ci da anche un bell' esempio. Il film è una specie di dichiarazione d'amore ai 100 anni di cinema, è pieno di citazioni, usa in parte tecniche e macchinari degli anni Venti e non rinuncia neanche a delle invenzioni comiche che ricordano i film muti dei primi anni di questo secolo. Il film è un piacere per gli occhi e per le orecchie e in alcune scene Wenders si è anche ricordato del fatto che il cinema può far ridere...
giovedì 9 ottobre 2008
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